The Walking Poet, la marcia di Burbank da Torino a Venezia per ricordare Nebbiolo



Li conosco per caso. Sarà mezzanotte o l’una, siamo a fine novembre. Sono a Torino, poco dopo una mia performance. Il locale è il Charlie Bird, un ritrovo per musicisti e artisti bohemien, a due passi dalla stazione Porta Nuova, che fa ottime pizze al tegamino e farinate. Uno sente un mio racconto e dice: “Dentro c’è un poeta”. E io: “Che poeta?”. E lui: “Burbank!”. Io non ho idea di chi sia, entro nel locale e lo cerco. A un tavolo ci sono due ragazze, una ha la pelle bianchissima, vestito rosso e rossetto ancora più acceso, e poi ci sono un gigante biondo con la barba da vichingo e, infine, un tipo magro con un berretto con la visiera storta e folte sopracciglia. 

 

Con la mia solita faccia tosta, chiedo: “Chi è il poeta?”. Il biondo vichingo alza la mano e io comincio a declamare. “Beh, che ne pensi?”. Ad ascoltarmi con più attenzione è il tipo magro, che ha una voce profonda, come se avesse un pomo d’adamo d’ottone: “Non è male, ma dovresti lavorare un po’ di più sull’intonazione”. È Nebbiolo, un cantautore. Burbank, che è un po’ diffidente, svela l’accento veneziano e mi fa: “Insomma, tu sei uno di quelli che quando fa serata declama le sue cose…”. In effetti mi capita… 

 

Arrivo alla poesia, un po’ di pazienza. Ci tenevo a iniziare dal mio primo incontro con Burbank e Nebbiolo. Mi è venuto subito in mente quando ho appreso con dolore la notizia della scomparsa di Gwydion Destefanis, in arte Nebbiolo, a soli 29 anni. 

 

Voglio infatti raccontarvi The Walking Poet, una folle camminata a tappe da Torino a Venezia, e del poeta Burbank, il pazzo che si è cimentato in questa impresa in ricordo del suo grande amico, accompagnato in alcune tappe da musicisti della scena pop-indie, come Dutch Nazari, Maurizio Carucci (Ex-Otago), Alberto Bebo Guidetti (Lo Stato Sociale), Elio Biffi (Pinguini Tattici Nucleari). 

 

L’iniziativa romanzesca, anzi dantesca (“nel mezzo del cammin…”), si è appena conclusa ed è durata un mese, ma aveva già raggiunto in soli 11 giorni, grazie al crowdfunding, il suo primo obiettivo: creare una borsa di studio intitolata a Nebbiolo e rivolta a cantautori under 30 del territorio nazionale. La raccolta fondi prosegue per ulteriori 8 giorni sulla piattaforma Eppela, per realizzare un video animato di un singolo inedito di Nebbiolo a cura di Yalmar Destefanis (fratello del cantautore) e dell’illustratrice Monica Tarasso. 

 

Burbank è partito da solo, ma nell’ultima tappa - in stile Forrest Gump - l’hanno raggiunto tante persone che hanno camminato con lui per chiudere questo viaggio speciale. E l’hanno anche trasportato in barca per un breve tratto lagunare (no non era Caronte)... 




Veniamo ora al protagonista indiscusso della camminata, con la sua faccia screpolata e arrossata dal sole e i suoi grandi occhiali anni ’60: Alessandro Burbank, poeta e performer vulcanico...  

Burbank, veneziano trapiantato a Torino, non è nuovo a performance artistiche al confine tra la parola, il «codice» proprio del poeta, e la fisicità della voce, del palco e dell’arte contemporanea. Oltre ad aver aperto i concerti di diversi musicisti indie ed essere protagonista della scena del Poetry Slam italiano dal 2009, tra l’altro, ha intrapreso un tour in Italia e all’estero e partecipato o curato progetti in alcuni dei principali musei italiani di arte contemporanea. «Fare poesia è strettamente connesso con quello che fai. Io personalmente ho cercato e cerco di esplorare tutte le possibilità», ha spiegato in una intervista. 

 

La sua prima pubblicazione è Salutarsi dagli aerei (Interno Poesia, 2018). La sua scrittura spazia tra tutti i registri, passando con maestria dal lirico all’ironico, giocando con la crisi della figura del poeta vate, in favore di un poeta totalmente calato nelle cose della vita, anche quando si perde nelle proprie visioni. Secondo Burbank i poeti «cercano di farsi capire, di venire compresi nel caos, dagli altri o da se stessi» ma «non c’è niente di più bello / se si viene ricordati / all’interno di un contrasto», come afferma in una delle sue poesie. 

La sua scrittura, insomma, è piena di postmodernità e sorprese che vi invito a scoprire da voi, perché qui mi concentro su un aspetto che emerge anche dalla sua incredibile avventura a piedi per la Pianura Padana. In quasi ogni tappa zaino in spalla di The Walking Poet, Burbank ha ci ha deliziati - è proprio il caso di dirlo -, con informazioni sulla sua dieta: le colazioni al bar, le merendine, il tortello di Modena, la panna ghiaccio di Este, il pasticcio di asparagi… della nonna e chi più ne ha più ne metta… a tavola. Di cibo il poeta nutre anche la sua poesia. In particolare, esso è spesso utilizzato in senso allegorico: quasi che il cibo diventasse il medium stesso, ergendosi protagonista in primo piano rispetto alla composizione in versi. È il caso della sua Dare nome. 
 
Dare nome 
 

 
Ho preso i ravioli 
 
ho messo i ravioli 
 
ho spento i ravioli 
 
ho detto ai ravioli 
 
e adesso ravioli? 
 
e loro lì, ravioli 
 
mi sentite ravioli? 
 
e loro lì, ravioli 
 
guardo i ravioli 
 
contemplo i ravioli 
 
tossisco e i ravioli 
 
sempre lì, ravioli 
 
scusate ravioli 
 
in silenzio ravioli? 
 
ma che modi ravioli 
 
di stare lì, ravioli 
 
fermi lì, ravioli 
 
mentre parlo ravioli 
 
vi guardo ravioli 
 
e mi accorgo ravioli 
 
che siete agnolotti 
 
ciao agnolotti 
 
ciao caro 

Un aspetto della poesia contemporanea che si trova nella poesia di Burbank è l’enjambement in senso moderno, che spezza il verso mantenendolo tuttavia fluido, permettendo alla poesia di prendere velocità e mantenere allo stesso tempo il sapore contemporaneo della prosa. «Una volta da ragazzo perché sovrappeso mi /mandarono dal dietologo…», scrive in Dietology dove l’allegoria del cibo assume un significato autobiografico. In un’altra senza titolo (sotto a seguire), il suo andare a capo fluido persino fagocita la punteggiatura. 
 
Dietology 
 

 
Una volta da ragazzo perché sovrappeso mi 
 
mandarono dal dietologo. Il dietologo erano tre medici. 
 
Uno era il dietologo gli altri una dottoressa 
 
che mi pesava e mi contava le calorie, 
 
l’altra che era tipo una psicologa 
 
mi ha chiesto se desiderassi suicidarmi. 
 
E io le ho detto che al massimo ho pensato 
 
qualche volta di cadere. Cadevo dai palazzi 
 
e dalle chiese mi vedevo perdere l’equilibro 
 
e poi cadere. Cadevo dai terrazzi, dalle altane, capitava 
 
che cadessi ma per caso guardando in basso, cadevo. 
 
Dagli ospedali dai parenti, o per le scale antincendio, 
 
in montagna una volta arrivato in cima cadevo, 
 
dai traghetti per la Grecia, cadevo dagli scogli a pescare, 
 
scivolavo dai ballatoi cadevo, d’inciampo 
 
dai corrimani delle scale a chiocciola, se l’ascensore 
 
si staccava, nel vuoto. 
 

 
*** 
 

 
Se mi vuoi conoscere 
 
mi metto al centro di 
 
questa stanza guarda 
 
quella è la scrivania lì 
 
c’è la poltrona mia poi 
 
l’armadio e la libreria lì 
 
c’è il letto in cui riposo 
 
ora spegni la luce vedi 
 
Il buio sono io esploso 
 
Ma siccome ho cominciato raccontandovi la storia di me che mi imbatto in due amici per la pelle, così anche voglio finire: con l’amicizia. Una poesia di Burbank Le donne che mi piacciono si può ascoltare in un disco di Nebbiolo (uscito per l’etichetta Libellula), e in particolare in un brano che fa un certo effetto riascoltare adesso, dal titolo Finale pazzesco. 
 
Le donne che mi piacciono 
 

 
Le donne che mi piacciono alla fine 
 
vanno altrove è come se fuggissero 
 
se ne vanno a Parigi a Berlino a Londra 
 
a Bruxelles a Pechino a Manhattan o 
 
sotto casa al bar da Gino. 
 

 
Le donne che mi piacciono fanno questa cosa 
 
di viaggiare, sono cervelli in fuga 
 
tette al vento piedi che vogliono 
 
percorrere altre strade occhi e 
 
orecchie, nasi per sentire tutto 
 
quanto sia lontano e irraggiungibile, 
 
le donne che mi piacciono raggiungono 
 
l’irraggiungibile lo fanno e stanno via 
 
per giorni settimane mesi, interi anni 
 
e parlano le lingue straniere vanno a Parigi 
 
e mi lasciano qui 
 
vanno a Londra e io ad aspettarle 
 
se ne vanno a Pechino e io che le attendo 
 
È come se fuggissero a Berlino e io a starmene qui a fare 
 
le solite cose al bar da Gino. 
 
Le donne che mi piacciono poi fuggono via 
 
e anche se un poco gli dispiace loro 
 
vanno altrove, tornano solo a Natale. 
 
Ma sono io che forse devo smettere 
 
di pensarmi al centro del mondo devo 
 
essere colui che incontreranno mentre 
 
vanno a ballare a Londra a Tokio a Lima 
 
e infatti adesso sto ballando a Londra a 
 
Pechino a Bruxelles a Parigi a Manhattan 
 
a Belgrado a Varsavia a Disneyland 
 
mentre Gino mi prepara un buon caffè . (*)

fonte: https://www.huffingtonpost.it/

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